La nostra storia
“mar.ni” nasce dalla passione per il cibo, l’innovazione e la creatività di “mar” e “ni”, insieme da oltre trent’anni, inseparabili creativi, ospitali organizzatori di fini eventi gastronomici.
“mar” di origini venete dalle vaste e numerose esperienze, “ni” vent’anni di meno, di sane origini marchigiane, originaria della zona di Visso, non a caso prossima a Norcia, città che si presente da se con i tartufi neri, i suini, i formaggi di pecora…..
La passione per il cibo ha caratterizzato e segnato la vita di “mar” attraverso i viaggi, le esperienze cinematografiche, la passione per la vela e per gli aerei, la fotografia, la comunicazione e mille altri interessi nei quali la ricerca enogastronomica è stata sempre il filo conduttore.
Durante i viaggi, di lavoro o di piacere, ha colto con grande attenzione le tradizioni culturali di altri paesi annotando i sapori, le combinazioni, i risultanti profumi, che successivamente ha ricordato quando serviva un tocco o una elegante bilanciata conclusione a qualche sua nuova invenzione gastronomica.
La mamma ed il papà, veneti doc amanti ed appassionati anch’essi della tradizione culinaria, ambedue magnifici cuochi specialmente di cucina tradizionale, sono stati i primi maestri o piuttosto hanno impresso nel dna di “mar” un’impronta indelebile nella ricerca della qualità e dei giusti sapori in una esperienza che, data una non lontana parentela con un noto produttore di vino di Venegazzù, unisce l'”eno” alla “gastronomia” chiudendo alla perfezione il cerchio del piacere a tavola.
Giovane architetto uscito da un importante studio romano, casualmente introdotto dal padre della prima moglie nel mondo del cinema, viene coinvolto nella troupe di quello che è il più importante film western italiano, quel “C’era una volta il West” diretto dal grande, indimenticabile compianto Sergio Leone.
Questa opportunità lo porterà a risiedere per alcuni mesi in Spagna, in un paesino, Guadix, abbastanza isolato rispetto alle città tradizionalii spagnole.
Anche in questa esperienza ha il sopravvento l’amore per la cucina tanto che stufo di “chuletas de cordero, solomillos, patatas guisadas con carne, pepinos e dell’immangiabile allora pasta “Gallo”, l’unica che si trovava in quei tempi in quel paese sperduto fra Granada ed Almeria dove aveva sede la produzione, telefona a Roma e chiede alla moglie di raggiungerlo riempiendo una valigia di spaghetti, pelati, parmigiano e buon olio della Sabina, preparando, al di lei arrivo, vere meravigliose paste asciutte per i privilegiati compagni di lavoro, alternate a freschi e variati Gazpachos di cui successivamente diventa un espertoesecutore.
Risiedendo in Spagna grande ispirazione gli viene dalle “tapas”, quegli stuzzichini che si possono mangiare in ogni bar formate da piattini con peperoncini fritti, spiedini di gamberetti, piccoli pesci fritti, insalatine fredde di frutti di mare, omelettes con patate o cipolle, le Criadillas, i Machitos (queste ultime due specialità andate a trovarle sul vocabolario).
Ancora in Spagna, in località marine, insegnano a “mar” che il pesce non deve essere troppo cotto e lo iniziano ai crudi di pesce, in tartare, in sottili filetti, in gustosi piccanti chevices che ben si uniscono alla spagnola “chebolla”, sostituita in italia dalla profumata “tropea”. Inoltre una prolungata permanenza nella zona di Valencia affinano le sue doti di creatore di Paellas ai gusti più svariati.
Altre esperienze di lavoro lo portano a Parigi, dove risiede per circa un anno, e si scatena in cucina provando i piatti della tradizione francese, incrociando ricette italiche con ingredienti tradizionali d’oltre alpe.
E’ il periodo delle ostriche di cui assapora le varie qualità, dalle impareggiabili Belon doppio zero alle saporite Marennes coltivate nelle antiche saline che danno loro il nome. E poi le carni e le verdure stufate in magnifiche “ratatouilles” e le grandi varietà di formaggi, insomma un bel periodo per gustare e sperimentare anche piatti semplici ma purtroppo non ripetibili in Italia per mancanza di materia prima, come ad esempio delle succulente grigliate di sarde di dimensioni introvabili in Mediterraneo.
Come non parlare della magnifica “bouillabaisse” cui dedicò con “ni” una avventurosa settimana di permanenza a Marsiglia per carpirne i segreti della cottura, delle varietà di pesci necessarie e della
confezione della “rouille” la salsa color ruggine (rouille appunto) da spalmare sui crostini che la accompagnano.
Alcune puntate in Normandia li portano a gustare il profumatissimo agnello pré-salé che pascola sui prati altamente iodati di Mont Saint Michel periodicamente sommersi dalle frequenti ed abbondanti maree, e poi ancora i grandi granchi semplicemente lessati accompagnati con patate sauté.
L’amore per il mare porta “mar” e “ni” in Corsica dove dopo alcuni viaggi di esplorazione scelgono, per quindici anni, di passare le loro vacanze in una località di Capo Corso ora piena di amici meravigliosi che li hanno saputi guidare attraverso la gastronomia corsa che risente positivamente dell’armonia naturale presente nel suo mare, nei monti e nelle foreste.
Mare incontaminato e poco sfruttato (meno di 300,000 abitanti in tutta l’isola, pari ad un quartiere di Roma), amico pescatore, orgia di pesce; cacciagione abbondante, maiali allevati allo stato brado che si incrociano con i cinghiali in castagneti immensi, montoni, pecore, capre che si nutrono delle profumate essenze del “maquis”, chacuterie, formaggi fra cui il “brocciu” chiamato dai corsi “casgiu naziunale” che porta con se il profumo dell’isola.
Sugo di cinghiale stufato unito a ravioli ripieni di brocciu farcito con le erbe del maquis: credo ci si avvicini al paradiso del palato.
Col brocciu fanno delle semplicissime magnifiche crepes con erbe a piacere e per finire un pranzo ecco il “fiadone” un semplice, gustosissimo dolce il cui elemento principale è ancora il brocciu.
In Corsica imparano a cuocere il montone in punto rosa sfatando molte leggende che vogliono certe carni stracotte, e a cuocere i calamari semplicemente avvicinandoli al fuoco del camino ed a consumarli tiepidi gustando il profumo del mare, mangiano gli scampi crudi o semplicemente bolliti, senza salse o condimenti, o trance di cernie di fondo sulla brace condite solo con il proprio grasso, come i muggini di fondo in cui a volte si trovano delle ottime bottarghe da mangiare cotte o da far appassire e conservare nella cera d’api per future succulente pastasciutte e le pesantissime ma meravigliose acciughe ripiene di brocciu, fritte dorate.
E come dimenticare “U fornu” di Macinaggio dove possono trovare croissant sempre sfornati di fresco, crepes, baguettes, pani farciti con qualsiasi cosa possa venire in mente per colazioni golose, che ci ispirano ancora quando vogliamo preparare dei pani saporiti di accompagnamento a piatti particolari.
Spesso, allora, attraversavano le Bocche di Bonifacio per raggiungere l’amico Gianvittorio ad Alghero, base di partenza di percorsi gastronomici originali.
Andavano in campagna dove per cucinare Gianvittorio aveva come griglia una rete da letto a due piazze, a destra i pesci, a sinistra le carni, come brace un olivo schiantato da un fulmine.
Altre volte partivano per gustare freschissimi ricci di mare aperti con particolari pinze dai pescatori, un cucchiaino, del pane e della vernaccia, o verso sud per mangiare carne di asino in spezzatino o in
brasato, il capretto allo spiedo, appoggiato in verticale dalla mattina a fianco del camino e girato di tanto in tanto, guarnito con cisto e mirto, servito la sera con un contorno di cuori di cardo selvatico (con l’indelebile ricordo delle mani martoriate per pulirli) o il porceddu da latte farcito con erbe ed arbusti avvolto in carta oleata, inserito in una buca del terreno, ricoperto di terra e cotto con un fuoco acceso sopra per alcune ore, o il brodo di pecora ed il lesso di risulta con le sue profumate verdure.
Ad Alghero imparano a preparare l’insalata catalana con l’astice della costa nord occidentale, la minestra di fregula e arselle, a cucinare trance di murena fritte dorate, per finire con delle ottime seadas accompagnate dal raro ma indispensabile miele di corbezzolo.
Si potrebbe continuare per giorni a descrivere le esperienze gastronomiche di “mar” e “ni”, ma forse è meglio parlarne di persona di fronte ad una tartare di spigola o ad un guazzetto di crostacei o, in autunno-inverno, davanti ad una fumante ciotola di pasta e fagioli ai frutti di mare o, se si amano i menu di terra, intrigati da una matriciana con guanciale di Visso, un coscio di castrato ripieno di finocchio selvatico, e ……..
Arrivederci a presto.
Buon Appetito da “mar.ni”